(Il prefetto di Lecce Mario Tafaro - Foto Il Paese Nuovo )
CENTRALE A CICLO COMBINATO DA OLI VEGETALI GREZZI DA 25 MWe “HELIANTOS 2” DELLA SOCIETA’ “ITALGEST”
NEL COMUNE DI CASARANO
Osservazioni
del Coordinamento Intercomunale “No alla Centrale”
1. PREMESSA
Il presente documento contiene una serie di osservazioni sul progetto della Centrale “Heliantos 2”, sulla base della documentazione in possesso del Coordinamento Intercomunale “No alla Centrale”.
Una organica valutazione dell’insediamento proposto non può prescindere dalla considerazione del quadro energetico-ambientale complessivo in cui tale scelta si inserisce. Una centrale a biomassa ha conseguenze complesse e delicate, conseguenti alla particolare attività di trasformazione energetica, fornendo un contributo sicuramente non positivo alla qualità dell’aria, che già oggi presenta aspetti assai critici a causa di emissioni presenti anche fuori dal territorio provinciale, e che stanno facendo aumentare vistosamente l’incidenza di patologie specifiche sul nostro territorio.
Per una maggiore chiarezza, le osservazioni sono suddivise per paragrafi relativi ai singoli aspetti, da valutare comunque in modo correlato ed organico.
2. DIFFORMITA’ DALLA DIRETTIVA COMUNITARIA 2009/28/CE DEL 23.04.2009
La Comunità Europea ha introdotto nella Direttiva in oggetto alcuni principi fortemente innovativi, destinati ad incidere profondamente sulla futura politica di utilizzo delle biomasse da parte degli stati membri e sullo stesso progetto in esame.
Si introduce, innanzitutto, il criterio di sostenibilità ambientale nell’uso delle biomasse, precisando che i criteri già adottati per i biocarburanti vanno estesi a tutte la biomasse liquide (art. 67). Tale criterio comporta, ad esempio, che la domanda mondiale di bioliquidi non deve “avere l’effetto di incoraggiare la distruzione di terreni ricchi di biodiversità” (art. 69), in quanto i consumatori della Comunità riterrebbero tale fenomeno “moralmente inaccettabile”. Per questi motivi “è necessario prevedere criteri di sostenibilità che assicurino che i biocarburanti e i bioliquidi possano beneficiare di incentivi soltanto quando vi sia la garanzia che non provengono da aree ricche di biodiversità”.
Bisogna aggiungere che proprio negli ultimissimi giorni la Comunità Europea ha adottato un pacchetto di norme con cui si intende dare, nell'immediato, attuazione pratica ai criteri di sostenibilità introdotti dalla Direttiva in oggetto. Il pacchetto consiste in due Comunicazioni (2010/C 160/01 e 2010/C 160/02) e una Decisione (2010/335/EU) attraverso cui la Commissione introduce la certificazione di sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi. I sistemi di certificazione devono avvalersi di metodi di revisione indipendenti ed affidabili per l'esame dell'intero ciclo di produzione in modo tale da evitare qualsiasi tentativo di frode. I due criteri fondamentali da rispettare per l'ottenimento della certificazione sono: che i biocarburanti e i bioliquidi non provengano da aree ad elevata biodiversità, e che il loro utilizzo consenta considerevoli risparmi di gas serra rispetto ai combustibili fossili (nella misura del 35% nell'immediato, del 50% nel 2017 e del 60% nel 2018). Solo ed esclusivamente i biocarburanti ed i bioliquidi (sia quelli prodotti in Europa che quelli importati da paesi terzi) che avranno ottenuto la certificazione verranno contabilizzati ai fini degli obiettivi nazionali previsti dalla Direttiva 2009/28/CE e potranno beneficiare di incentivi e sostegni finanziari pubblici.
Il progetto in esame non fornisce in proposito alcuna informazione e/o garanzia. Si riportano più volte le caratteristiche agronomiche, merceologiche ed energetiche degli oli vegetali, ma manca ogni riferimento alla provenienza del prodotto ed al suo ciclo integrato (tracciabilità). Permane quindi il fondato dubbio che, in contrasto con le indicazioni CE, il combustibile possa essere ricavato con danni a preesistenti patrimoni vegetazionali e forestali e alle popolazioni indigene ivi insediate.
Jean Ziegler, Relatore Ufficiale delle Nazioni Unite per l’Alimentazione, nell’ottobre 2007 di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite definiva la politica di acquisizione di terreni nel sud del mondo, la loro deforestazione o il loro cambiamento d’uso (da uso agricolo locale ad uso industriale) un “crimine contro l’umanità”. Chiedeva pertanto una moratoria di almeno 5 anni per evitare il dilagare della fame. L’acquisizione di terreni da parte delle industrie energetiche è invece andata avanti, ed oggi almeno 20 milioni di ettari - in Africa, America latina e Asia - sono destinati dalle multinazionali a produzioni finalizzate ad alimentare le centrali elettriche e le auto dei paesi ricchi. Mentre le persone sofferenti la fame sono passate da 860 milioni nel 2005 a 1.070 milioni nel 2009 (FAO, Roma dicembre 2009).
Il concetto di sostenibilità investe poi altre problematiche, lontane anni luce dall’approccio - culturale prima ancora che scientifico - del progetto in esame. Occorre, cioè, considerare il contenuto energetico di ogni prodotto (compresi i combustibili come le biomasse) nell’intero ciclo di vita: coltivazione, concimazione, trattamenti agronomici, raccolta, trasporto.
Nello studio “Feasibility of Large-Scale Biofuel Production”, Mario Giampietro, Sergio Ulgiati e David Pimentel scrivono: “La produzione su larga scala di combustibile di provenienza biologica non costituisce un’ alternativa all’uso corrente del petrolio e non è neanche una scelta consigliabile per sostituirne una porzione significativa”. Il biocarburante rappresenta infatti una perdita di energia netta, dato che richiede mediamente il 50% di energia in più di quella che si può ottenere dal prodotto stesso. Ma anche altre risorse ottenute da biomasse mostrano, nei migliori dei casi, una bassissima resa energetica netta, nell’ambito del ciclo di prodotto.
Secondo gli stessi autori citati, negli Stati Uniti servono circa 2 tonnellate di petrolio per produrre e spargere una tonnellata di concime azotato. Questi ed altri dati disponibili in letteratura, mostrano che la superficie destinata all’agricoltura energetica in genere non è in grado di assorbire la CO2, come potrebbe farlo un bosco o un prato di dimensioni equivalenti, ma anzi produce più CO2 di quanta possa assorbirne.
Lo stesso autore citato, Mario Giampietro, ha spiegato in vari convegni che per coprire il 10% dei consumi energetici italiani servirebbe una superficie tre volte superiore alla terra arabile nel nostro paese, che tra l’altro non ha eccedenze di produzione alimentare ma anzi importa cereali dall’estero.
In un mondo in cui la fame rimane una questione prioritaria e irrisolta, non possiamo destinare risorse indispensabili all’alimentazione per la produzione di biocombustibili.
Impraticabile d’altronde, per molteplici ragioni di carattere agronomico, socio-economico e ambientale, come ammesso dallo stesso proponente in sede di conferenza dei servizi, risulta la conversione a colture di oli vegetali di 20.000 Ha al servizio dell’impianto in provincia di Lecce.
3. DIFFORMITA’ DALL’ALLEGATO A, PUNTI 2.1.A1) E 2.1.A2) DELLA D.G.R. 23.01.2007 N. 35
(COMPATIBILITA’ CON GLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE ESISTENTI D’AMBITO REGIONALE E LOCALE, COERENZA CON LE ESIGENZE DI FABBISOGNO ENERGETICO DELLA REGIONE O DELLA ZONA INTERESSATA DALLA RICHIESTA)
3.1 Difformità dal Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR)
L’impianto in esame è palesemente in contrasto con diversi fondamentali indirizzi del Piano Energetico Ambientale Regionale, adottato con D.G.R. n. 827 del 8.06.2007. Il Piano fornisce una fondamentale indicazione laddove prescrive che “i sistemi della domanda e dell’offerta si sviluppino in forma coordinata” (pag. 158/471). La realizzazione di nuove centrali, cioè, – prescrive il Piano – deve essere rapportata alle reali necessità del fabbisogno energetico. Su questo punto il progetto presenta una preoccupante carenza, limitandosi a riferire (Relazione ambientale, par. 2.1, in tutto 9 righe) una generica previsione di una “quota pari al 18% del fabbisogno di energia da fonti rinnovabili, con uno sguardo particolare al settore delle biomasse agricole provenienti da colture dedicate”. Non un accenno agli effetti del cumulo di potenza relativa ad altri impianti simili previsti nella stessa area, con una sovrapproduzione destinata a centri di consumo lontani dalla regione.
A questo proposito è opportuna una valutazione specifica.
La Puglia presentava al 2007 (statistiche Terna, ultimi dati disponibili sul sito www.terna.it) una produzione elettrica netta (cioè al netto dei servizi ausiliari degli impianti) di 37,0 miliardi di kWh, a fronte di una richiesta di 19,6 miliardi di kWh, con un esubero quindi di 17,4 miliardi di kWh, pari al 89%. Si può rilevare il grave squilibrio del sistema elettrico nazionale e regionale (nella perdurante mancanza di un Piano Energetico Nazionale) notando, ad esempio, che la Campania e la Basilicata hanno invece un deficit di bilancio elettrico rispettivamente di 11,2 miliardi di kWh (-60%) e di 1,6 miliardi di kWh (-51,4%). In questo scenario è sbagliato, secondo i principi della corretta pianificazione energetica, continuare ad aggravare ulteriormente il carico produttivo della regione, poiché gran parte dell’energia prodotta sarebbe destinata a “viaggiare” verso altri centri di consumo, con sensibili perdite di trasmissione (mediamente il 7-8%) e ulteriori costi e impatti delle infrastrutture di trasporto.
Da considerare ancora, restando nel settore delle sole centrali a biomassa, che sono proposte e/o in corso di autorizzazione nella stessa area leccese (limitandosi ad un elenco delle iniziative di cui si ha notizia diretta e sicuramente non esaustivo), le seguenti centrali elettriche a biomassa (proponente, combustibile, sito, potenza nominale):
Oli Salento | sansa | Veglie | 54 MW |
TG Energie rinnovabili | olio vegetale grezzo | Cavallino | 37 MW |
Italgest | olio vegetale grezzo | Lecce | 25 MW |
Energreen | olio vegetale grezzo | Martignano | 10 MW |
Polaris Energy | olio vegetale grezzo | Alliste | 10 MW |
Fiusis | cippato di legno | Calimera | 1 MW |
Affinché, come prescrive il PEAR, “i sistemi della domanda e dell’offerta si sviluppino in maniera coordinata”, è necessario che la valutazione dell’insediamento in esame sia effettuata nel quadro di altre iniziative relative ad insediamenti simili (valutazione integrata).
In ogni caso, non è accettabile che questa fondamentale esigenza sia totalmente ignorata nel progetto in esame, in cui la proposta viene illustrata prescindendo dal contesto produttivo circostante, ignorando ogni esigenza di coordinamento delle proposte e di equilibrio del sistema di produzione e consumo dell’energia nell’area.
Un’altra fondamentale prescrizione del PEAR, intrinsecamente disattesa, è quella derivante dalla scelta “di privilegiare una generazione diffusa di impianti di dimensione medio-piccola con produzione termica ed, eventualmente, cogenerazione (e trigenerazione). ” (PEAR; pag. 158/471). Poco oltre (pag. 159/471, il Piano ribadisce che “in uno scenario di breve periodo si ritiene che si debba favorire l’avvio e la diffusione, nelle aree di vocazione agricola della regione, di filiere bioenergetiche “corte” finalizzate alla valorizzazione della risorsa in impianti di piccola-media taglia di tipo diffuso, con eventuale funzionamento in cogenerazione. Tali impianti, inseriti in un sistema di approvvigionamento locale organizzato, che veda il coinvolgimento di singole aziende agricole o gruppi di aziende, appaiono attualmente i più idonei per rispondere a queste esigenze e per favorire uno sviluppo armonico e sostenibile tra offerta e domanda locali di biomasse.”
Pur non essendovi una classificazione univoca per impianti di piccola, media e grande taglia, non vi è dubbio che la centrale in questione non si possa definire “medio-piccola”, se si esaminano e si comparano le seguenti indicazioni normative:
il D. Lgs. 29.12.2003 n. 387 prevede (art. 12, comma 5 e Tabella A allegata) una soglia di 200 kW per gli impianti soggetti a semplice Denuncia di Inizio Attività;
la stessa norma prevede procedure semplificate, da definire con un successivo decreto, per gli “impianti cogenerativi con potenza elettrica inferiore a 5 MW” (art. 5, comma 1, lettera g);
D’altronde il D.Leg. 152/2006 definisce (art. 268, comma 1, punto gg) “grande impianto di combustione” quelli con potenza termica nominale non inferiore a 50 kW, potenza vicina al nostro caso (48 MWt).
Il progetto in esame quindi, per la pesante taglia ed il carattere centralizzato, e per essere basato su olio di importazione, come ammesso dagli stessi rappresentanti dell’azienda nella prima conferenza dei servizi tenutasi a Bari, va in direzione opposta a quanto previsto nel PEAR.
3.2 Difformità dall’art. 1, comma 4. lettera f, Legge 23.08.2004 n. 239
In tale norma si prevede un “adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche”. Per quanto detto, l’insediamento proposto, insieme ad un vasto elenco di impianti proposti o in via di autorizzazione, contribuisce al contrario ad accentuare lo squilibrio territoriale dell’area. Tale conclusione è confortata dai dati Terna, ente gestore e proprietario della rete di trasmissione nazionale, che prevede (dati su www.terna.it) per l’intero Meridione un fabbisogno al 2016 di 70 miliardi di kWh. In tale ipotesi la Puglia, che già oggi produce più del 60% dell’intero fabbisogno meridionale potrebbe sopperire da sola agli aumenti di potenza richiesti a tutte le altre regioni continentali del Sud per i prossimi dieci anni; il ché aggraverebbe sprechi di trasporto, impatti ambientali e vulnerabilità dell’intero sistema elettrico.
3.3 Difformità dal Piano Energetico Provinciale (PEP)
La Provincia di Lecce ha approvato in via definitiva, con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 36 del 23.04.2004, il “Programma d’intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico”, di seguito denominato Piano Energetico Provinciale (PEP), in attuazione del Decreto Legislativo n. 112/98. A prescindere dalla validità “legale” del Piano, soggetto alla catena di deleghe previste dalla normativa e redatto in anticipo rispetto allo stesso PEAR, il documento, frutto del lavoro coordinato di Provincia e Università di Lecce, ha un indubbia valenza sotto l’aspetto del quadro di programmazione, che non può essere evidentemente ignorata.
In tale documento si valuta (pag. 253/348) che “allo stato attuale, in assenza di strumenti di pianificazione e persistendo un esubero di produzione che al 2000 era del 36% (oggi, come si è visto, è passato all’89%, n.d.r.), appare ingiustificato ogni ulteriore insediamento di centrali elettriche sul territorio provinciale e regionale. Possono richiedere una deroga a tale indirizzo gli impianti che fanno ricorso a fonti rinnovabili, per il notevole valore aggiunto, in termini socio-economici ed ambientali, che si associa a tali produzioni; ciò però a patto che tali fonti vadano a sostituire equivalenti fonti fossili, e non ad aggiungersi ad esse, perpetuando una scriteriata politica di esuberanza dell’offerta.
Tali considerazioni rimangono sostanzialmente valide anche alla luce dell’approvazione del PEAR, in cui non sono contenute specifiche previsioni quantitative per le centrali a biomassa. Lo stesso PEP (paragrafo 7.4) valuta una potenzialità di biomassa sul territorio provinciale sufficiente ad alimentare centrali per un massimo di 35 MWt totali, corrispondenti a meno di 10 MWe. Beninteso, la biomassa considerata dal Piano è solo quella prodotta sul territorio (residui di potatura di olivo e vite, sansa, vinacce, cereali), con esclusione assoluta di oli di importazione.
“Fondamentali inoltre, per l’economicità del processo – prevede il Piano – è scegliere in maniera idonea i siti di ubicazione delle centrali, che dovranno essere il più possibile baricentrici rispetto alle zone di produzione del combustibile, in modo da abbattere notevolmente le spese di trasporto.”
Si evince da ciò agevolmente come la proposta di insediamento in oggetto sia decisamente difforme dalle previsioni del PEP per vari aspetti:
si prevede l’utilizzo di biomassa di importazione;
si prescinde, come si è detto, da una valutazione congiunta di altri possibili insediamenti proposti a livello regionale e locale, con il rischio di una potenza installata di gran lunga superiore alle potenzialità del territorio;
si prescinde da una collocazione ”baricentrica” delle centrali; anzi, sono previste ad esempio, con procedimenti distinti e affatto coordinati, due centrali di notevole potenza entrambe a pochi chilometri di distanza (Lecce e Cavallino).
4. DIFFORMITA’ DALL’ALLEGATO A, PUNTI 2.1.A4) E 2.1.A6) DELLA D.G.R. 23.01.2007 N. 35
(GRADO DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RENDIMENTO ENERGETICO ED AL LIVELLO DI EMISSIONI DELL’IMPIANTO PROPOSTO, MASSIMO UTILIZZO POSSIBILE DELL’ENERGIA TERMICA COGENERATA)
L’impianto presenta i seguenti dati nominali:
- energia elettrica netta alla rete: 22.900 KW;
- energia primaria del combustibile 47.886 kW;
- energia termica per uso industriale: 8.100 kW.
Il rendimento netto dichiarato dell’impianto, cioè il rapporto tra i due valori sopra riportati, è del 47,8%. Quindi la metà circa (52%) dell’energia immessa nell’impianto è trasformata in calore. Dando per scontato che si tratta di tecnologie non certamente innovative (grandi motori diesel di derivazione marina), la valutazione dei rendimenti energetici dell’impianto non può prescindere dall’analisi della destinazione di questa ingente quantità di calore prodotta. Infatti dei 25 MW circa di energia termica prodotta, il progetto dichiara un impiego per “uso industriale” di soli 8,1 MW, al netto di altri recuperi effettuati all’interno del ciclo produttivo. Ma tale previsione non è supportata da alcun progetto per l’utilizzo del calore residuo.
Nella Relazione Ambientale si dedicano a tale fondamentale argomento solo 3 righe (!!):
“Tale calore disponibile, vista la temperatura di uscita dalla sezione di recupero, potrebbe essere utilizzato per utenze esterne, quali ad esempio una rete di teleriscaldamento o aziende agricole per coltivazioni in serra”. (pag. 40/97)
Si deve ritenere, quindi, che tale calore, in assenza di reali previsioni di utilizzo, sarà destinato ad essere semplicemente disperso in ambiente; conferma tale conclusione lo schema di flusso allegato alla Relazione tecnica illustrativa del Progetto, che riporta 2 “radiatori”, cioè scambiatori acqua-aria, destinati a smaltire in atmosfera l’intero calore residuo. Non si conosce, d’altronde, alcuna previsione specifica (destinazione del calore, accordi con utilizzatori, rete di teleriscaldamento ecc.) su tale aspetto.
Tale fondamentale carenza denota la reale natura della proposta in esame: non un impianto improntato all’uso efficiente dell’energia, inserito in un sistema energetico con un sostanziale equilibrio tra domanda ed offerta, ma un intervento speculativo, finalizzato al conseguimento dei Certificati Verdi, in cui il calore residuo rappresenta un fastidioso sottoprodotto di cui sbarazzarsi!
5. DIFFORMITA’ DALL’ALLEGATO A, PUNTO 2.1.A5) DELLA D.G.R. 23.01.2007 N. 35
(UTILIZZO DELLE MIGLIORI TECNOLOGIE AI FINI ENERGETICI ED AMBIENTALI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA MINIMIZZAZIONE DELLE EMISSIONI DI NOx e CO)
Uno dei punti su cui deve incentrarsi l’esame della proposta in oggetto è senza dubbio costituito dalla minimizzazione delle emissioni. Invece è proprio questo uno degli aspetti più carenti della proposta progettuale. La Relazione ambientale liquida questo argomento con 4 pagine e 3 righe; si riporta una tabella (pag. 36/97) con le composizioni teoriche dei fumi ai camini; si cita un sistema catalitico di abbattimento degli ossidi di azoto con ammoniaca (SCR, Selective Catalytic Reduction); si cita sommariamente, un “sistema catalitico di ossidazione del CO a CO2”.
Nessun accenno alla tecnologia adottata per l’abbattimento delle polveri (cicloni?, filtri a manica?, filtri elettrostatici?), salvo l’indicazione assai generica di una “preventiva filtrazione” dei fumi di scarico (Relazione ambientale, pag. 36/97).
Nell’annessa “Relazione tecnica Emissioni atmosferiche” ci si potrebbe aspettare una trattazione più dettagliata ed approfondita; nulla di ciò: si trovano riprese le stesse generiche considerazioni contenute nella Relazione ambientale (tabella con la composizione teorica dei fumi, ennesima descrizione del sistema catalitico SCR). Salvo poi, con un salto logico poco consono ad una relazione tecnico, concludere:
“si può stimare che a regime si produrranno una concentrazione di inquinanti inferiore ai limiti consentiti dal D.Lgs. 152/2006, così come riportato nella tabella seguente (pag. 13/17”):
EMISSIONE | VALORI ATTESI | LIMITE (1) |
Polveri totali | 60-100 mg/Nmc | 130 mg/Nmc |
Ossidi di azoto | 170-190 mg/Nmc | 200 mg/Nmc |
Monossido di carbonio | 250-300 mg/Nmc | 650 mg/Nmc |
(1) Allegato I, parte III, punto (3), “motori fissi a combustione interna”, del D. Lgs. 152/2006
In questi dati preoccupa, oltre alla mancanza di un qualunque metodo scientifico per analizzare gli effetti delle emissioni, la conclusione, del tutto arbitraria e soggettiva, con cui si dichiarano valori di concentrazioni pur sempre vicini a quelli limite (190 mg/Nmc rispetto al limite di 200 mg/Nmc per gli ossidi di azoto).
6. DIFFORMITA’ DALLE PRESCRIZIONI DELLA L.R. 12.04.2001 N. 11
La legge prevede, tra i progetti di competenza della Provincia da sottoporre a verifica di assoggettabilità a V.I.A., gli “impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda, … con potenzialità uguale o superiore a 10 MW”.
L’art. 8 della stessa Legge prescrive i contenuti dello Studio di impatto ambientale (SIA) definito (art. 2, c. 1, lettera c) come “uno studio tecnico-scientifico degli impatti ambientali di un progetto, di un programma di intervento o di un piano”, da presentare per la procedura di verifica. Tra i dati richiesti compaiono:
- una valutazione del tipo e della quantità dei residui e delle emissioni previsti (inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo, rumore, vibrazioni, luce, calore, radiazioni ecc.) risultanti dall’attività del progetto proposto;
- la descrizione delle tecniche prescelte per prevenire le emissioni degli impianti e per ridurre l’utilizzo delle risorse naturali, confrontandole con le migliori tecniche disponibili.Esaminando l’impatto sulla qualità dell’aria e quanto contenuto nella Relazione ambientale, e’ di tutta evidenza, come si è notato sopra, che lo studio proposto non è adeguato a rappresentare efficacemente gli effetti derivanti dal funzionamento dell’impianto. Infatti:
a) non vengono neppure riportate, nelle relazioni e negli schemi relativi, come si è notato sopra, le tecnologie impiegate per la filtrazione degli inquinanti; poiché è noto che la scelta del sistema di abbattimento incide notevolmente sui successivi costi di esercizio dell’impianto, occorre rilevare che il progetto lascia ampi margini discrezionali in tal senso; salvo poi, con un approccio superficiale e poco scientifico, fornire assicurazioni sul rispetto dei limiti imposti;
b) i modelli proposti per la valutazione della distribuzione degli inquinanti sono inadeguati a rappresentare i reali impatti; infatti:
- le ipotesi prese a base dello studio (stazionarietà, comportamento chimicamente inerte degli inquinanti, assenza di assorbimento al suolo), sono vistosamente lontane dalla realtà; basti pensare a situazioni meteo particolari (inversioni termiche, fumigazioni ecc.), ben lontane dalle ipotesi assunte, alle molteplici reazioni degli inquinanti con l’ambiente (es. combinazione di ossidi di zolfo e fosforo con l’umidità atmosferica, piogge acide, ecc), all’assorbimento degli inquinanti da parte del terreno (vedi casi pugliesi, da Cerano alla Copersalento, di sequestri di aree contaminate da emissioni di centrali elettriche);
- non viene fornito alcuno studio ante operam sulla qualità dell'aria del sito in cui è previsto l'insediamento;
- viene solo citato sommariamente (5 righe) l’algoritmo di calcolo impiegato (software NOAA denominato HYSPLIT), senza descrivere ipotesi, passaggi, approssimazioni, e riportando semplicemente le rassicuranti conclusioni;
- partendo dall’erroneo presupposto che il rispetto medio dei limiti di legge garantisca di per sé assenza di danni alla salute, si ignorano gli effetti dovuti a particolari concentrazioni degli inquinamenti al suolo; gli studi scientifici in merito hanno provato che esiste un diretto rapporto causa-effetto tra concentrazione in aria di taluni inquinanti (come gli ossidi di azoto) e insorgenza di patologie anche a breve e medio termine;
- si ignorano gli effetti degli inquinanti su soggetti particolarmente sensibili (bambini, soggetti esposti a patologie polmonari, donne in gravidanza ec.).
Considerati i diversi studi dell'OMS che attribuiscono buona parte delle patologie presenti nel mondo all'esposizione a fattori ambientali, avvalorando così il nesso causa-effetto fra aumento delle patologie ed inquinamento; considerati i dati del Registro Nazionale INES che denotano una situazione allarmante per la Regione Puglia per quel che concerne le emissioni; considerati i dati dell'Osservatorio Epidemiologico Regionale ed in particolare i dati relativi al Registro Tumori Jonico Salentino in cui viene posta in rilievo l'anomalia della provincia di Lecce che presenta tassi per patologia tumorale (in particolare carcinoma del polmone) superiori a quelli delle provincie di Brindisi e Taranto, pur essendo assenti sul suo territorio insediamenti industriali rilevanti: prima di esporre un’intera popolazione ai danni derivanti da ulteriori emissioni, nella situazione epidemiologica attuale già preoccupante, possono essere presi in considerazione, a parere degli scriventi, solo studi scientifici di ben diverso spessore rispetto a quello presentato.
7. CARENZE NEI DATI RELATIVI AI LIMITI DI EMISSIONE AI SENSI DEL D. LEG. 12.04.2006 N. 152
Ai sensi di questa norma (art. 269) “per tutti gli impianti che producono emissioni (salvo quelli alimentati a biomasse di potenza inferiore a 1 MW e altre tipologie di piccola taglia, n.d.r.) deve essere richiesta un’autorizzazione ai sensi della Parte V” del Decreto. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione, l’autorità competente indice … una conferenza dei servizi.
I limiti di emissione sono riportati nell’Allegato I della Parte V. Il progetto (Relazione ambientale, pag. 37) riporta i seguenti limiti di emissione, riferiti a “motori fissi a combustione interna”:
polveri | 130 mg/Nmc |
ossidi di azoto | 200 mg/Nmc |
monossido di carbonio | 650 mg/Nmc |
Ma, a ben vedere, tali limiti si riferiscono ad un “tenore di ossigeno nell’effluente gassoso del 5%”. Nel progetto invece (pag.36/97) si riporta una concentrazione di O2 nei fumi al camino del 10,61%. La composizione dei fumi va pertanto corretta, introducendo un tasso di ossigeno pari a quello di legge, in modo da rendere confrontabili i due dati. L’eccesso d’aria può infatti alterare sensibilmente le conclusioni della simulazione. Ciò appare ancor più necessario in quanto, come si è detto, il tenore dichiarato di ossidi di azoto nei fumi (170-190 mg/Nmc) è vicino al valore di soglia.
8. DIFFORMITA’ DAGLI ATTUALI INDIRIZZI DELLA REGIONE PUGLIA IN TEMA DI CENTRALI A BIOMASSA
Con Deliberazione G.R. n. 767 del 14.05.2008 la Regione Puglia ha specificato i criteri per la localizzazione delle centrali a biomasse ed i requisiti amministrativi ed impiantistici necessari per ottenere l’autorizzazione unica. Tra l’altro si prevedono.
- l’incentivazione dell’uso di biomasse di origine agricola e forestale prodotte localmente;
- uno screening qualitativo/quantitativo periodico, da valutare in sede autorizzativa, per i seguenti inquinanti: IPA, metalli, composti inorganici del fluoro espressi come HCL e HF, diossine e furani (PCDD + PCDF);
- la redazione di un Piano di approvvigionamento delle biomasse utilizzate, con contratto di fornitura valido per 5 anni dal rilascio dell’autorizzazione;
- la stretta “interconnessione” tra produzione di energia elettrica e calore.Per quanto il progetto in esame sia stato presentato prima dell’approvazione della norma citata, è utile notare che l’insediamento proposto si pone in netto contrasto rispetto agli attuali indirizzi assunti dall’Amministrazione Regionale.
9. CONCLUSIONI
L’insediamento in oggetto risulta slegato da ogni reale esigenza del territorio; puntando su combustibile di importazione e rinunciando alla “filiera corta”, utilizzerà del Salento solo lo spazio e l’ambiente fisico necessario e la eventuale disponibilità dei suoi amministratori ad accoglierlo. Limitati saranno i vantaggi (una manciata di posti di lavoro la cui ricaduta locale è da dimostrare), mentre gravi e certi saranno i danni all’ambiente e alla salute. Tutto ciò non per un necessario contributo alla copertura dei nostri fabbisogni energetici, per cui godiamo di un notevole esubero di produzione, destinato purtroppo ad accentuarsi con le tendenze attuali, ma essenzialmente per ragioni di profitto aziendale legato agli incentivi pubblici; ne è la prova la scarsa attenzione al riutilizzo della importante quota di calore residuo.
Il progetto rimane poi gravemente carente proprio sull’aspetto più importante e delicato per la salute dei cittadini: l’inevitabile ulteriore peggioramento della qualità dell’aria già compromessa da scriteriati insediamenti industriali esistenti nella nostra Regione.
Casarano, 28.6.2010
Coordinamento Intercomunale “No alla Centrale”
Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT)
Sezione Provinciale di Lecce
Comitato Civico “Io Conto” - Ugento (LE)
Tribunale dei Diritti del Malato - Casarano (LE)
Legambiente - Casarano (LE)
Comitato “Energia Ambiente e Vita” - Casarano (LE)
Comitato Cittadino Tutela Ambiente - Casarano (LE)
Associazione “I Paladini di Via Messina” - Casarano (LE)
Forum Ambiente e Salute - Lecce
Associazione Grande Salento - Avetrana (TA)
Comune di Supersano (LE)
Comune di Matino (LE)
Comune di Presicce (LE)
Comune di Ruffano (LE)
Gruppo Politico “Popolo della Libertà” - Sezione di Casarano (LE)
Gruppo Politico “Centro Democratico Cristiano” - Casarano (LE)
Gruppo Politico “Sinistra Ecologia e Libertà” - Circolo Cittadino di Casarano (LE)
Gruppo Politico “Italia dei Valori” - Circolo Cittadino di Casarano (LE)
Gruppo Politico “Partito dei Comunisti Italiani - Federazione della Sinistra” - Sezione di
Casarano (LE)